Ho conosciuto Terence Biffi virtualmente attraverso le sue magnifiche foto sul Pakistan ed ha accettato di raccontarmi questo suo incredibile viaggio in un paese che mi affascina da sempre.
Terence è nato a Ravenna 28 anni fa e la sua passione per i viaggi è iniziata leggendo i libri di Terzani e Kapucinsky. Ha svolto i lavori più disparati: fruttivendolo, assistente wedding planner, barista, gelataio e commerciante, ma dice di non essersi mai sentito a casa in Italia pur amando la sua Romagna. Prima di partire per questo lungo viaggio che ha toccato anche il Pakistan ha vissuto un anno a Melbourne, in Australia, dove è entrato in contatto con persone provenienti da ogni angolo del globo e quest’esperienza lo ha cambiato nel profondo. Il viaggio per lui è stato anche l’occasione per affrontare e limare degli aspetti che definisce “sgradevoli” del suo carattere e, soprattutto, sconfiggere la sua dipendenza dal cibo (prima di partire soffriva di obesità).
Terence è partito per questo lungo viaggio il 31 gennaio 2018 e fino ad oggi ha toccato l’Albania, la Macedonia, il Kosovo, il Montenegro, la Bosnia, la Serbia, il Pakistan e l’Iran (dove si trova in questo momento). Trascorrerà altri 3 mesi viaggiando in Asia Centrale, prima di raggiungere Israele, poi da lì l’Egitto, il Sudan, l’Etiopia e chiudere in bellezza con la Tanzania. Il viaggio durerà circa un anno. Mentre viaggia sta scrivendo anche un libro su questo anno di viaggio che vuole pubblicare al suo rientro e uno più breve sul suo viaggio in Corea del Nord (e io non vedo l’ora di leggerli!!).
Ma ora è tempo di godersi il suo racconto.
Racconto di un viaggio in Pakistan (by Terence Biffi)
Sono a Islamabad. Un centinaio di facce mi osserva, occhi curiosi mi scrutano, mi fissano. Mi carico lo zaino sulle spalle ed esco dall’aeroporto. Mi guardo attorno ma non riesco a trovare il mio amico; mi trova lui, mi stringe la mano e mi sussurra all’orecchio: “Hai la bottiglia?” – “Si, tranquillo”, rispondo. Ci avviamo verso la macchina e mi fa nascondere la bottiglia. Ha insistito tantissimo affinché gli portassi del vino rosso.
Questo non è il Pakistan ma è la Repubblica islamica del Pakistan, dove l’uso dell’alcool è proibito, anche se molti di loro riescono a ottenerlo per vie traverse, di nascosto. Ci dirigiamo verso la città e resto colpito dal traffico: credo che esso sia un elemento fondamentale per capire realmente le caratteristiche di un paese e, in effetti, la prima impressione che ho del Pakistan è quella di un paese estremamente caotico, sporco, privo di regole e turbolento ma, al tempo stesso, variopinto e caloroso. Mentre osservo il traffico che scorre fuori dal finestrino mi innamoro dei camion. Quella di decorare i camion è una vera e propria forma di arte in Pakistan, ogni mezzo è dipinto con una miriade di colori diversi e a ogni angolo sono appesi dei drappi di tessuto; i mezzi sono immensi, altissimi.
Ed è proprio sulle strade caotiche di questo fantastico paese che ho trascorso gran parte del mio viaggio. Questo non è sicuramente uno di quei luoghi idilliaci in cui passare una vacanza rilassante; basti pensare che per percorrere 120 chilometri si possono impiegare anche cinque ore.
Sono sul passo Shandur, sono stipato in un mini-van insieme ad altre 19 persone; ho le ginocchia a pezzi ma la felicità di trovarsi in questo luogo è immensa. Avanziamo a passo d’uomo tra la ghiaia ricoperta di neve. Qui si trovano alcune delle cime più alte del mondo, gli yak pascolano a pochi metri da noi.
Ho il viso schiacciato contro il finestrino, non voglio perdermi un metro di questa meraviglia.
Sempre tra le montagne ma a ridosso del confine afghano si trova la valle dei Kalash, luogo in cui il tempo sembra essersi totalmente fermato.
I kalash sono una popolazione che presenta molti tratti tipici europei: è frequente vedere persone bionde con gli occhi chiari. I pakistani chiamano questa zona Kafiristan, terra degli infedeli; infatti, i kalash sono animisti, non musulmani. Nella loro cultura hanno molta importanza i riti legati alla produzione del vino che sono vere e proprie feste che si prolungano per giorni. Quando un membro della comunità kalash muore, i familiari e gli amici si raccolgono in un tempio dove si balla, si beve e si mangia per tutta la notte.
Poco lontano dalla valle dei Kalash si trova la zona più conservatrice del paese che include la valle Swat e Peshawar. Il conservatorismo diventa qui una questione di genere a tal punto da imporre il burqa a tutte le donne e la possibilità soltanto per poche bambine di andare a scuola.
Viaggiare con un budget molto basso – 17 euro al giorno – mi obbliga a molti sacrifici e, pur di contenere le spese, mi ritrovo a dormire in luoghi decadenti come qui a Peshawar, roccaforte della tribù Pashtun, dove la mia doccia è in realtà una bacinella contenente acqua fredda.
In alcune guide online sul Pakistan la città viene additata come taliban-friendly, in cui è estremamente consigliato prestare molta attenzione. Niente di più falso! Qui ho ricevuto, infatti, l’accoglienza più calorosa. Certo, di turisti se ne vedono pochi, ancor meno con piercing e tatuaggi. Nonostante ciò, camminando ricevo in continuazione inviti per sorseggiare con loro Qahwa, il tè verde locale.
Quando ho comunicato agli amici che avrei viaggiato un mese in Pakistan, tutti mi hanno chiesto se fossi matto. “Ti potrebbero sequestrare” mi dicevano. Si, in effetti è vero, forse sono stato incosciente e avventato nella mia scelta e si, mi hanno sequestrato, in continuazione, ma per cosa? Per farsi foto con me, come se non avessero mai visto una persona così tanto differente da loro.
Questo paese mi ha rapito il cuore.
L’ospitalità dei pakistani è così grande che molto spesso mi sono commosso. Quando bisogna pagare è quasi inutile provarci, ti rispondono con frasi del tipo : “Tu sei il mio ospite, è un onore che tu sia qui, tu non paghi”.
“11 settembre 2001, questa è la data che ha decretato la scomparsa del turismo in Pakistan” dice Faisal, con sguardo triste e malinconico, mentre afferma: “Non siamo mica terroristi”. Mi versa il chai, il tè speziato con latte.
Faisal gestisce una guesthouse a Mastuj, una città circondata dalle cime dell’Hindu Kush; è metà aprile e sono il primo cliente dell’anno. Mi racconta di quando il paese era il paradiso degli escursionisti e alpinisti. Ormai il Pakistan ha una brutta reputazione di cui non riesce a privarsi e il settore turistico è quasi totalmente assente.
“In passato era comune vedere viaggiatrici aggirarsi in shorts per i bazaar della città” mi racconta Ahmad, un simpatico e allegro avvocato di Lahore che fuma una sigaretta dietro l’altra. Effettivamente il Pakistan era una delle tappe dell’Hippy Trail, il tragitto che tra gli anni ‘50 e ’70 molti giovani europei percorrevano per arrivare fino a Bangkok. Dopo aver viaggiato molto ammetto che questo è ufficialmente il mio paese preferito. Ho ricevuto solo amore e calore in questa terra scomparsa, purtroppo, dagli itinerari di viaggio.
Potete seguire Terence nel proseguimento del suo viaggio sul suo profilo Facebook e Instagram.
Foto e testi di Terence Biffi
Meraviglioso racconto…. bravissimo Terry mi hai stupito con effetti speciali…ne vorrei di più!
Vero?!? Gli facciamo scrivere anche il seguito